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In fondo, dietro quello sguardo duro, Boubakary è un tenerone

Ore 13. Esco dall'aeroporto e vengo scortato a casa. Erano in tre. Tra di loro ce n'era uno un po' più in carne, serio e con gli occhiali. Tutto d'un pezzo. Era Boubakary.

-sono qua per voi. Quando avete bisogno, giorno e notte, finesettimana, io ci sono.

Lo guardai incuriosito, con un'espressione che diceva "davvero?". Non percepii nessuna menzogna tra le righe. E i fatti lo confermarono.

Diventammo subito fratelli. Il mercoledì mattina e il sabato mattina alle 6 andiamo insieme a correre. Dopo lavoro andiamo spesso al bar, così come il finesettimana.

Così Boubakary diventò tre cose insieme: collega, fratello e amico. Ma quella che diventò più di tutte fu un'altra.

Stavo per andare con un amico di Asta, sua sorella, a bere qualcosa nel suo bar. Quando Boubakary lo seppe, venne con me.

-come mai sei venuto? Gli chiesi quando mi portava a casa.

-non conosci né tu né io questa persona. Non puoi fidarti subito. Che ne sai se è una persona buona o meno?

Un'altra volta gli dicevo che stavo andando da una signora che avevo conosciuto in ufficio che mi aveva invitato ad assaggiare il suo yogurt.

-dietro l'agenzia Turistique abita? Ripeté strabiliato.

-sì, proprio lì

-lì ci entri ma non sai se ci esci. Ti faccio ben vedere io dall'auto un giorno.

Boubakary mi aveva preso come figlio e non voleva che mi accadesse nulla di male. Ed ero sicuro che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di assicurarsi che tornassi a casa sano e salvo o che non mi mettessi in situazioni pericolose.

Vidi in lui un istinto nobile: proteggere. Hai dei modi duri, sì. Ma lo fa per il mio bene. È il suo modo di prendersi cura di me. Vegliare. Andandoci insieme. Accompagnandomi. Ammonendomi. Essere presente. E poter contare su di lui. Sempre.