Quando fai la spesa il da farsi è molto semplice: prendi l'auto e vai al supermercato. In Camerun la faccenda è un po' diversa: non ci sono supermercati né auto.

I supermercati come li intendiamo noi qui non esistono, se non qualche rarissimo caso a Yaundé, la capitale, o Douala, la Milano del Camerun. Nelle città può esistere qualche negozio di alimentari, ma con qualche limitazione: i prodotti freschi non ci sono, come verdure e carne, e comunque sono pochi.

L'auto qui è un lusso. Ce l'hanno solo i benestanti, e sono dei catorci con tutte le spie immaginabili accese.

Quindi come la fai?

Qui esiste un altro luogo, dove tutti vanno per fare la spesa: il mercato. Un tempo c'era anche in Italia ed era il luogo principale dove gli italiani andavano a rifornirsi. Oggi il mercato esiste ancora, anche se in forma più ridotta, mentre i più vanno all'Esselunga o al Poli. Un esemplare di mercato è quello di Lambrate il sabato. Niente male. Ma qui, è un'altra cosa. È pieno di mercati. Immagina che il mercato di Lambrate c'è ogni giorno, e che ci sono interi quartieri così e che ogni giorno ne nasce uno diverso. Questo esiste, ed accade a Garoua, in Camerun.

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Iniziai a capirlo da un motociclista. Quando mi lasciò a Takasko, nell'omonimo mercato, era sabato mattina.

Mi fece la lista. Così iniziai l'esplorazione.

I mercati qui sono un vero e proprio bazar: colori, profumi, volti, suoni si mescolano insieme come un mosaico alla rinfusa dove ogni cosa trova il suo posto. C'è la zona delle verdure con le primizie del campo, il mercato del pesce e della carne, la trafila di venditori di vestiti e tessuti con al lato i sarti, e poi i semi, il cerchio dei buoi, i venditori ambulanti di pollame, i venditori di arachidi, i cialtroni e i bambini che ti portano la borsa della spesa. Il macellaio che cucina la carne alla griglia, il contadino con il sacco di mais, il commerciante di abiti della Nigeria, la bambina che vende pannocchie, il mercante di cappelli tradizionali, il cammellaio, il venditore di succhi, chi fa la carità, il mototassista e il beone. Ognuno ha il suo ruolo e sa che la regola del monopoli è solo una: contrattare.

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Contrattare non è solo una prassi per spendere meno: è un rito. Lo capii con Daniela. Un commerciante le aveva fatto un prezzo che a lei non dispiaceva. Aveva accettato senza nemmeno contrattare. La reazione di lui? Si arrabbiò. Lei doveva negoziare il prezzo.

Qui funziona così: il prezzo che ti dice chi vende è una proposta. Non c'è nessun prezzo fisso. Poi c'è la trattativa. Ci sono commercianti che dicono subito il prezzo giusto, altri che guardano il cliente e poi gli fanno il suo prezzo. Da bianco mi capita di sentire dei prezzi gonfiati, ma ormai conosco il mercato e faccio io il prezzo. Eccome.

Contrattare è un'arte. Si impara facendo, affinandola una trattativa alla volta. È un'arte rapida e complessa: è psicologia, matematica, antropologia, comunicazione, conoscenza di sé. Tutto porta a determinare il prezzo finale: la tua conoscenza del mercato, il tuo aspetto, il tono, i gesti, le parole, il portamento, l'espressione. Il buon mercante capisce subito se sai contrattare.