Da bravo curiosone e dilettantista ho vissuto la mia vita così: ogni nuova persona, cosa, esperienza per me era un sì. Ero sempre alla ricerca di nuovi stimoli e ogni occasione che me ne portasse di nuovi la accoglievo senza pensarci: un aperitivo tra universitari, un seminario, una gita fuori porta, un corso di un qualche ballo… perché rifiutare. Quello che cercavo era la novità.

Bastava quella per farmi sbavare. Bastava che non avessi il quadro sotto controllo, che ci fosse un alone di mistero e di imprevisto, di avventura e spasso, e già tremavo. La stessa cosa mi capita quando passo una giornata sedentaria, immerso nello studio o nel lavoro. A una certa ne ho proprio bisogno: uscire, esplorare, non importa dove o con chi. Andarmene.

Questo andarmene mi ha portato a stringere amicizie bellissime, a conoscere luoghi e sapori splendidi. È stato il motore che mi ha spinto a scoprire il mondo e le sue sfumature.

L’altro giorno ero seduto all’ombra di un albero nel giardino della mia casetta a Garoua. Avevo bisogno di riflettere, era da tempo che non mi prendevo un momento per fare il punto. Avevo bisogno di uscire dal turbine e fermarmi. Fermare il flusso dei giorni che si seguono con velocità, guardarlo da fuori e osservare la sua direzione.

Ho visto tante cose belle: la grandissima varietà di relazioni, luoghi, esperienze che fanno parte della mia vita. Come una giungla: le piante sono tante, di colori e grandezze diverse, con frutti colorati e foglie di tutte le forme. Ci sono coccodrilli, upupe, leopardi, facoceri, cicale… tanto di tutto, mischiato in un bel cocktail tropicale.

In questa giungla mi ci sono sempre trovato da dio: perdermi nei suoi colori e specie, nella sua vastità. Era tutto per me. Finché iniziai a sentire una cosa strana. Come un senso di spaesamento: belli tutti sti animali e ste piante. Bello perdermi ed esplorare, andare oltre quelle liane laggiù e scoprirne altre. Ma dove sto andando?

Ho realizzato che il voler cercare avventure sempre nuove in realtà era qualcos’altro: fuggire. Fuggire da cosa? Da me stesso. Da quello che davvero mi importa e cerco. Lo sperimentare continuamente, muoversi di palo in frasca era il mio sotterfugio per non puntare davvero su qualche pianta e qualche bestiaccia. Forse la paura di dare tutto e davvero rischiare per qualcosa?

In effetti questo modo, restare sulla superficie e non puntare su una cosa, mi dava un alibi: non ci investo troppo, così se va male non mi ferisce. Non mi ci lego a fondo, e non avrò problemi. Non ci credo fino alla morte, così non ci rimango male. Ma così, dove arrivo allora? A muovermi muovermi muovermi, cosa ottengo?

Il sapore della novità iniziava a non soddisfarmi più. Avevo bisogno di qualcos’altro. Di più vero, duraturo. Di costruire. Di guardare lontano.

Sentivo il bisogno, dopo tutto questo vagare, di trovare la mia terra, il mio posto nel mondo, la mia musica.

Ho girato migliaia di dischi. Conosciuto migliaia di persone. Visto migliaia di posti.