-mi batto

È forse la cantilena che più sento dire qua in Camerun. Una frase che quando sento entra da un orecchio e esce dall'altro.

Recentemente ci ho prestato più attenzione. La dicono davvero tutti. E spesso insieme a questo aggiungono un sono al verde. Frasi che pensavo fossero di circostanza, e frequentemente lo sono. Ma ho scoperto che altrettanto frequentemente sono la realtà. La dura realtà.

Il Camerun è un posto difficile. Lavoro non ce n'è, e quello che c'è è mal pagato, precario, imbruttito. I prezzi di beni di prima necessità come cibo, benzina e elettricità sono cari rispetto al salario medio. Così la gente si trova con poco o nulla in tasca, delle spese significative da sostenere. E come fa? Si batte, appunto. Risparmia qua e là dove può, lavora il finesettimana, si improvvisa con attività di ogni tipo purché portino qualche euro in più a fine mese.

Ho iniziato a prendere sul serio questa frase, perché è vera. Sei costretto a lottare qua per sopravvivere. Legalmente o illegalmente, devi tirare fuori le palle. Spesso invano. Spesso venendo sfruttato. E là ho iniziato a guardare a noi. All'Italia, all'Europa. Che per quanto possiamo lamentarci, non possiamo lamentarci. La vita non ha quella durezza che ha qua. Con tutte le conseguenze del caso.

Con conseguenze del caso mi riferisco a una marea di aspetti psico sociali che scaturiscono dal vivere in condizioni del genere. È difficile fidarsi, perché la gente cerca di avvantaggiarsi a tutti i costi anche nei confronti e a spese degli amici. È difficile avere dei rapporti di spontaneo disinteresse, perché per questo non c'è spazio. Se manco hai i soldi per muoverti per incontrarti, allora ce ne devi tirar fuori qualcosa, un qualche vantaggio. Essendo concentrati sulla sopravvivenza, è difficile trovare qualcuno che pensi più in grande, più in là. Qualcuno con cui fare un cavolo di discorso che non sia terra terra. Parlare della vita, dei progetti. Del resto, se appena o manco i bisogni primari - mangiare, avere un tetto - sono soddisfatti, come ci si può concentrare sugli altri? Vale a dire, i bisogni di affezione, riconoscimento e auto realizzazione?

Per un europeo è difficile entrare in sintonia perché si è su mondi di esigenze diverse. E come puoi pensare ai bisogni dell'anima se quelli della pancia borbottano? E in tutto ciò il sistema non aiuta: il sistema educativo è molto modesto e penalizza le classi povere, il mondo del lavoro arranca, i servizi, le infrastrutture e le opportunità per i giovani sono inesistenti.

È dura. E quel mi batto è una realtà, non una colpa. Ma come fare per uscirne?

Ci sono due maniere. Quella drastica, cercare fortuna altrove. Ma per andarsene servono soldi. Quella accondiscendente, farsi forza e usare la testa, visto che i più non sembrano usarla e vanno avanti per inerzia.

Sì, mi sono reso conto di essere un privilegiato. Che è una grande fortuna aver ricevuto in dono molte cose che davo per scontate: un'educazione di qualità, una sanità che si prende in carico di me, un ambiente sicuro e dei servizi presenti e funzionanti. E che tutto questo non è piovuto dal cielo ma è frutto dello sforzo di qualcuno che nel passato ha sudato perché queste cose fossero presenti. I nostri nonni, i miei genitori. E mi fa pensare: e io? Sto facendo qualcosa perché questo posto sia un po' meglio di come l'ho trovato? Cosa posso fare per la mia comunità, il mio territorio?