Sono nella stanza dell'ospedale. Mi hanno operato e l'unica cosa che sento è il braccio destro bloccato che mi duole. Mi guardo a sinistra e vedo le pile di libri che mi sono portato. Manco una pagina leggerò. Non perché sono rincoglionito. Perché proprio non ce la faccio. Neanche a dormire riesco. Mi costa parlare. Le uniche parole sono le mie dita che stringono la mano di mio papà.

Dopo alcune ore sento che qualche impulso vitale si fa fuori: ho fame. L'infermiera ha portato la cena. Fette biscottate e biscotti. Quando le addento, giuro che non avrei cambiato cibo neanche per un filetto di manzo o per la stracciatella di burrata. Torno nel letto.

Si fa sera. Si fa tardi.

Alle 10 di sera non riesco a chiudere occhio. Non tanto per il dolore. Il problema era uno ben più importante: la posizione del sonno. Io sempre dormo a pancia all'ingiù e senza cuscino. Là ero obbligato alla tortura della posizione supina. Questa mi è scomoda per un motivo soprattutto: perché non fai niente. Ossia, stai là come un faraone in attesa di... di che? Almeno con la pancia all'ingiù abbraccio in materasso.

Non ce la potevo fare. Anche se mi faceva male alla spalla e poi alla cervice, mi alzai. C'erano 16 stanze nel reparto. Io ero nella 15. Iniziai così con la 16.

Entrai e vi trovai Vito. Lo avevo conosciuto nella sala d'attesa. Lo operavano al ginocchio lui. Calabrese, in Veneto da 10 anni, non aveva messo radici in quel Nord poco solidale. "Vito!" gli dissi "Eugé, allora?" Lui di schiena dormiva tranquillo, così che stava sereno e in panciolle, aveva appena sentito le due nipotine, poteva ora dormire sonni tranquilli.

Lo saluta e passai alla 14, dove entrai, salutai, e poi uscii.

La 13 era chiusa. La aprii, e nel buio vidi una sagoma nel letto, che al vermi si tirò su. "Ciao", le dissi La vecchia mi guardò, si fece un po' di forza e poi disse "Non sento" "Ah, ok, scusa" le risposi "Non sento!" "Ok va bene... Ciao" "Non sent... Buona sera" Ci salutammo e continuai nel corridoio.

Dopo esser entrato in una stanza dove dormivano entrambi, mi accostai alla numero 9. Udii delle voci in inglese. Allora entrai. Vidi un giovane con un Tablet. "Ciao, sono Eugenio" "Ciao, mi chiamo Alessandro" Era l'unico che si avvicinasse alla mia età. 31 anni, contro una media di 71. Alessandro era lì da due settimane perché gli avevano diagnosticato una malattia autoimmune. Stava bene, tra non molto lo avrebbero dimesso. "E di che ti occupi ale?" "Conosci Sonic? Io faccio quella roba là". Alessandro era un programmatore di giochi. Passammo alcuni istanti insieme, dopodiché la mia cervice mi urlò di andarmene.

Le stanze là vicino erano vuote, così passai davanti all'ambulatorio delle infermiere. Vidi due ragazze giovani e more. Avevo davanti a me Krystal e Natasha. "Siete felici?", gli domandai dopo alcune battute. "Sì, tutto sommato questo lo sento come il mio lavoro" rispose Natasha. Krystal invece non lo era molto. "Questo è un lavoro momentaneo, voglio andare in Africa a soccorrere le persone" "Be, se sei nella direzione giusta..." Restai una buona mezz'ora chiacchierando con le donzelle, parlando della vita, della felicità, dei sogni. "E tu che vuoi fare?" "L'orientatore"

"Ora devo continuare il tour, che me lo permittiate o no" Le congedai e proseguii.

Conobbi nella stanza sei Graziella, una dolce maestra, e infine nella 1 due simpatiche vecchiette. "Ma che ci fate ancora sveglie alle 11 e mezza?" "Guardiamo la TV, e tu che ci fai?" "Mi piace conoscere le persone vicino a me" Stetti con loro, le salutai stringendole la mano.

Ritornai infine nella mia stanza. Mi faceva male il braccio e il collo.

Se per questo non lo avrei rifatto? Mai. Ho visto la mia debolezza e quella delle altre persone. E ci ho visti così vicini, perché è proprio la fragilità che ci unisce.

In quel tour, in quella sera mi sono riconosciuto come Eugenio. Il ragazzo che esplora, che mette il naso, che va a conoscere. Che si lascia sorprendere. Quella notte, ho capito una cosa meravigliosa: è nelle situazioni più difficili che capisci davvero chi sei. Ciò a cui non puoi rinunciare, perché è più forte di te, è la tua essenza

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